I commenti a sentenza sono commenti brevi e sintetici, senza note a margine, di pronunce giurisprudenziali, utili per un consulto rapido ed immediato.
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RESPONSABILITA’ PROFESSIONALE NOTARILE VERSO TERZI ALLA LUCE DELL’ORDINANZA DELLA CASSAZIONE SEZ. II 18-07-2024, N. 19849/2024.
L’ordinanza in commento ha una valenza particolarmente rilevante nel settore della responsabilità civile notarile, in quanto fissa dei principi fondamentali nella ricostruzione della responsabilità del professionista per danni arrecati a terzi, estranei all’atto notarile.
Nel caso di specie, la richiesta di condanna risarcitoria, anche nei confronti del professionista, è riferita ai danni che il notaio aveva arrecato al proprietario dell’immobile oggetto di contenzioso - nella fattispecie una cantina- per aver rogato l’ atto pubblico con il quale dei fratelli, dichiarandosi proprietari per successione legittima dai propri genitori, avevano alienato l’immobile, senza alcuna indicazione del titolo di provenienza; i disponenti infatti non avevano alcun titolo petitorio sulla cantina, essendo soltanto aventi causa dell’originario conduttore – quindi mero detentore dell’immobile - in virtù di un contratto di locazione.
In particolare, l’elemento fattuale alla base della pretesa di responsabilità è l’omissione – senza alcuna dispensa ad opera delle parti – dal compimento delle visure ipocatastali necessarie volte ad accertare quanto dichiaratogli per non danneggiare i terzi. In particolare, durante la fase di istruttoria il notaio aveva ritenuto di poter fondare la legittimazione a disporre dei beni sulla base delle dichiarazioni di successione, aventi natura prettamente fiscale e presentate quattro giorni prima della stipula dell’atto, dedotto poi in causa. Sul punto va ribadito, ove ve ne fosse la necessità, che la dichiarazione ed il certificato di successione non costituiscono titoli civilistici di provenienza. Nel caso di specie, la mancanza di legittimazione dei venditori a disporre del bene era del tutto pacifica, in quanto i medesimi aveva invano chiesto di esserne riconosciuti come proprietari del bene quali usucapienti.
Va specificato che i fatti di causa sono di molto anteriori alla riforma della disciplina sulla conformità catastale – articolo 29, L.52/1985, così come modificato dal DL 78/2010, in vigore dal 1 luglio 2010.
Secondo autorevole dottrina (G. Rizzi, La normativa in materia di conformità dei dati catastali (d.l. 78/2010), dopo tale riforma, non è più possibile per il notaio, relativamente agli atti ai quali è applicabile la normativa sulla conformità catastale, essere dispensato dalle parti contrattuali dalle visure catastali e dalle ispezioni ipotecarie, in quanto la normativa ha natura pubblicistica ed è funzionale anche al soddisfacimento di un interesse pubblico. Il notaio, quindi, sarebbe ora sempre tenuto a 1) verificare l’attuale conformità tra intestatario catastale e intestatario per i Registri immobiliari, 2) effettuare le visure ventennali e 3) verificare la continuità delle trascrizioni. Per un approfondimento si segnala Federnotizie, “Conformità catastale” dopo il D.L. 50/2017, pubblicato il 30 Novembre 2017 da Daniela Riva.
Nella ricostruzione dell’iter processuale, va evidenziato che nei primi due gradi di giudizio era stata esclusa la responsabilità del notaio: la Corte di appello ha confermato le statuizioni del Tribunale, con le quali era stata esclusa ogni responsabilità del notaio nella stipula della compravendita del locale dedotto in controversia, in quanto il notaio non ha, in generale, alcun obbligo di accertare la veridicità delle dichiarazioni rese dalle parti nell’atto pubblico e che quest’ultimo fa fede fino a querela di falso solo relativamente alla provenienza del documento redatto dal pubblico ufficiale e alla provenienza delle dichiarazioni delle parti, per cui l’atto non poteva considerarsi nullo.
Sul punto è opportuno ricordare come la Giurisprudenza di legittimità – Cass. 25-07-2019, n. 20214/2019- abbia declinato la pubblica fede dell’atto pubblico ex artt. 2699 e 2700 cc: “tenendo conto della censura svolta, è sufficiente invece osservare che l’efficacia probatoria dell’atto pubblico, nella parte in cui esso fa fede sino a querela di falso, è limitata alla provenienza del documento dal pubblico ufficiale che l’ha formato, ai fatti che il medesimo attesta essere avvenuti in sua presenza o essere stati da lui compiuti, alla provenienza delle dichiarazioni rese dalle parti ed alla firma di queste ultime; ma non si estende alla veridicità sostanziale delle dichiarazioni delle parti (in termini così generali il principio è espresso, in massima, da Cass. 12 giugno 1976, n. 2179): in altre parole, l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso per ciò che concerne i suoi elementi estrinseci e non relativamente al contenuto intrinseco, che può non essere veritiero ed è, pertanto, soggetto a qualsiasi prova contraria nei limiti consentiti dalla legge in ordine a quanto concerne la verità e l’esattezza delle dichiarazione delle parti.” In sintesi, la pubblica fede e la relativa forza probatoria sono limitate alla provenienza estrinseca e non al contenuto intrinseco dell’atto pubblico (e dunque anche dell’atto notarile). Banalmente, rimanendo in tema, il notaio riceve dichiarazioni di conformità catastale per immobili che non ha mai visto, quindi non può garantire la veridicità della dichiarazione.
La Suprema Corte di Cassazione tuttavia, accogliendo il quarto motivo di ricorso, ha accolto la tesi della responsabilità del convenuto notaio, modificando il criterio applicato nei primi due gradi di giudizio (ossia i limiti della pubblica fede dell’atto notarile e l’esclusione dell’obbligo del notaio di accertare la veridicità delle dichiarazioni) ed argomentando in ordine al mancato rispetto della diligenza qualificata, ex artt. 1176 e 2236 cc, richiesta nell’espletamento del ministero notarile per aver omesso i necessari controlli in fase istruttoria. Il profilo particolare è che la Cassazione – anche in maniera criticabile – ricostruisce l’obbligo di effettuare le visure catastali e le ispezioni ipotecarie in via del tutto giurisprudenziale, senza citare neanche una volta le legge sulla conformità catastale: “In generale, sul piano generale è risaputo (e la giurisprudenza di questa Corte è essenzialmente uniforme in tal senso: cfr., tra le tante, Cass. n. 24733/2007, Cass. n. 18244/2014 e Cass. n. 11296/2020; si veda anche Cass. SU n. 13617/2012, ancorché con riferimento alla rilevanza disciplinare della condotta del pubblico ufficiale) che per il notaio richiesto della preparazione e stesura di un atto pubblico di trasferimento immobiliare, la preventiva verifica della libertà e disponibilità del bene e, più in generale, delle risultanze dei registri immobiliari attraverso la loro visura, costituisce, salvo espressa dispensa per concorde volontà delle parti, obbligo derivante dall'incarico conferitogli dal cliente e, quindi, fa parte dell'oggetto della prestazione d'opera professionale, poiché l'opera di cui è richiesto non si riduce al mero compito di accertamento della volontà delle parti, ma si estende a quelle attività preparatorie e successive necessarie perché sia assicurata la serietà e certezza dell'atto giuridico da rogarsi ed, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico di esso e del risultato pratico voluto dalle parti partecipanti alla stipula dell'atto medesimo.” La Cassazione dunque si esprime nel senso che l’obbligo di verificare previamente le risultanze dei registri immobiliari nasce in forza dell’incarico di prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 cc, a prescindere dalla normativa in materia di conformità catastale; dunque sul punto si può concludere che la legge sulla conformità catastale abbia la funzione di disciplinare, con forza di legge, un obbligo già esistente in forza del rapporto contrattuale. I mancati controlli ipocatastali hanno dunque una duplice rilevanza: obbligatoria, sotto il profilo della responsabilità professionale, e quale causa di nullità, ex art. 29, comma 1 – bis, L.52/1985, di natura normativa (applicabile ratione temporis solo agli atti stipulati successivamente all’entrata in vigore della legge).
La Cassazione dunque accoglie la pretesa attorea di condanna del notaio e qualifica la responsabilità professionale verso terzi come responsabilità extracontrattuale ex art. 2043 cc, quale violazione del generale principio civilistico del neminem laedere.
La Suprema Corte dunque, accertata la responsabilità del notaio per prestazione negligente, si sofferma sulla natura e la quantificazione del danno da occupazione illegittima dell’immobile, cagionato al legittimo proprietario:
- quanto alla natura, ribadisce la natura di danno “presunto”, in forza di un filone giurisprudenziale consolidato: “Quindi, in linea con la giurisprudenza di questa Sezione civile e poi in conformità ai principi stabiliti dalle Sezioni unite, con la sentenza n. 33645/2022, il “danno” da occupazione illegittima è da ritenersi “presunto” (e, quindi, risarcibile ex se, discendendo fisiologicamente dalla perdita della disponibilità del bene, la cui natura è normalmente fruttifera, e dalla impossibilità di conseguire l'utilità da esso ricavabile), con conseguente inversione dell’onere probatorio nel senso che, una volta allegato dal proprietario il danno, è l’occupante abusivo a dover riscontrare che il proprietario non ha ricevuto alcun pregiudizio in relazione al possibile godimento del bene (cfr. anche Cass. n. 10823/2015, Cass. n. 20545/2018, Cass. n. 21239/2018)”; la presunzione del danno è giustificata in quanto il bene immobile è normalmente fruttifero;
- per quanto concerne la quantificazione, relazione alla cui valutazione lo stesso giudice di rinvio potrà ricorrere anche al criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., come richiamato dall’art. 2056 c.c., che attiene al risarcimento del danno da illecito extracontrattuale.
Sul tema dei danni da responsabilità professionali notarili, va ricordato come il danno risarcibile, benchè presunto, vada sempre commisurato al pregiudizio economico effettivamente patito dal danneggiato, ex artt. 1223 e 1226 cc; la Cassazione 03-07-2019, n. 17810/2019 ha infatti stabilito che “è viziata da omesso esame di un fatto decisivo la sentenza di merito che, in caso di evizione totale, reputi il danno risarcibile dal notaio sempre esistente e commisurabile al valore del bene oggetto di evizione a prescindere dalla circostanza, pur indicata in sentenza, che un prezzo di acquisto non sia stato mai corrisposto”.
La cassazione accoglie parzialmente il ricorso, rimette la decisione alla Corte d’Appello competente, che dovrà conformarsi ai principi di diritto enunciati e pronunciarsi anche sulle spese di lite del giudizio di legittimità.
Avv. Serafino Zacchei
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RESPONSABILITÀ PROFESSIONALE DEL NOTAIO: IL PROFESSIONISTA È RESPONSABILE DEI DANNI CAGIONATI A TERZI EX ART. 2043 C.C. PER ANNOTAZIONE ILLEGITTIMA DI CANCELLAZIONE DI IPOTECA, SECONDO LA SENTENZA DELLA CASSAZIONE, SEZ. III CIVILE, 09.01.2025, N. 486
La sez. III civile della Corte di Cassazione, con sentenza del 9 Gennaio n.486, si è pronunciata su un caso avente ad oggetto una serie di trasferimenti di crediti garantiti da ipoteca su immobili, a seguito di ogni cessione di credito tutte le parti hanno correttamente provveduto alla relativa annotazione di cui all’art. 2843 c.c. A seguito dell’ultima cessione di credito, il cedente (una banca) ha prestato il proprio consenso alla cancellazione dell’annotazione in quanto l’ipoteca non sarebbe stata oggetto di cessione. La parte che ha acquistato il credito privo di garanzia ipotecaria ha dunque citato in giudizio il cedente e il notaio rogante per aver consentito la cancellazione dell'ipoteca sull'immobile, nonostante l'annotazione della cessione del credito. La sentenza in commento si rivela di notevole importanza in quanto è stata riconosciuta la responsabilità del notaio che ha ricevuto l’atto di cancellazione di ipoteca, nonostante egli, in una prima fase, avesse manifestato il proprio dissenso circa l’operazione di restrizione ipotecaria. La responsabilità del pubblico ufficiale è stata accertata sulla base dell’art. 2043 c.c. a titolo di responsabilità extracontrattuale. In primo luogo, la Corte, dopo aver accolto alcuni dei cinque motivi di ricorso, ha analizzato l’applicabilità al caso di specie degli articoli articoli 27 e 28 della Legge notarile i quali sostanzialmente che il notaio è obbligato a prestare il suo ministero ogni volta che ne è richiesto e, inoltre, che il notaio non puo’ ricevere atti vietati espressamente dalla legge. Quindi il notaio, pur tenuto a rogare gli atti che gli vengano richiesti, ha il dovere di rifiutare tutti quegli atti espressamente vietati dalla legge e nulli in quanto tali. Secondo la Cassazione, il notaio deve effettuare un’attenta valutazione delle conseguenze e degli effetti che possono derivare da un atto da lui ricevuto o autenticato. Il notaio deve effettuare ex ante un’attenta analisi circa gli effetti che possono scaturire da una sua condotta, egli deve valutare in concreto se un atto da lui rogato puo’ cagionare un danno a terzi.
Per la Suprema Corte, quindi, non sono applicabili al caso concreto gli articoli 27 e 28 della legge notarile, ma ciò che viene in ì rilievo è il giudizio di responsabilità extracontrattuale del notaio ai sensi dell’art. 2043 c.c. Il notaio, nel caso di specie, nonostante in un primo momento avvertì e sconsigliò alla parte di procedere con il rogito, ricevette lo stesso l’atto pubblico di cancellazione dell’ipoteca. La Cassazione, quindi, ha affermato che il notaio deve valutare ed interrogarsi ex ante se un atto da lui rogato possa comportare delle conseguenze sfavorevoli nei confronti di soggetti terzi all’atto, ma che sono individuabili in ogni caso ex ante dal notaio in quanto possibili destinatari degli effetti del rogito, nel caso di specie il destinatario sarebbe stato facilmente individuabile dal professionista. La Suprema Corte in particolare ha affermato che: va anzitutto chiarito che, nella specie, ciò che viene in rilievo è la eventuale responsabilità extracontrattuale del notaio, non già quella da “contatto sociale” (su cui v. da ultimo Cass. n. 19849/2024): non si tratta, infatti, di danni subiti da un soggetto che abbia confidato nella piena validità, o nell’autorevolezza, che devono attribuirsi ad un atto rogato da notaio ed inerente alla circolazione o al regime giuridico di uno o più beni immobili, bensì – in tesi – della illiceità della condotta del notaio stesso, che si sia reso compartecipe, con dolo o colpa, di una condotta, mediante il rogito in questione, comunque idonea ad arrecare un danno ad un soggetto ben determinato. In altre parole, ciò che rileva è se il notaio ***, rogando il citato atto di restrizione su istanza di *** e curandone gli adempimenti pubblicitari, abbia o meno realizzato una condotta foriera di danni nei confronti della A.A.: ci si muove chiaramente, dunque, nell’ambito della clausola generale dell’art. 2043 c.c., ossia del neminem laedere. Ciò posto, non v’è dubbio che la condotta complessivamente tenuta dal notaio *** sia ben suscettibile di essere valutata ai fini che occupano. Il notaio, infatti, pur tenuto (in base allo status notarile) a rogare gli atti che gli vengano richiesti, col solo divieto inerente agli atti nulli (artt. 27 e 28 legge n. 89/1913), non può comunque rogare l’atto richiesto ove consapevole che detto atto, benché non nullo, sia potenzialmente idoneo ad arrecare danno a terzi. La vicenda che occupa è esemplare in tal senso: la dr.ssa ***, accortasi della carenza di legittimazione ex art. 2882 c.c. in capo a ***, avvertì il cliente del rifiuto pressoché certo del conservatore (e, dunque, dell’inutilità del rogito, manifestando il proprio iniziale dissenso); il cliente, però, insistette per procedere, incaricando il notaio anche per la cura delle formalità pubblicitarie. A tal punto, è evidente come l’operato del notaio, che comunque procedette nel senso voluto dalla cliente, esuli dal cono d’ombra degli artt. 27 e 28 della legge notarile: non si tratta di individuare la sussistenza o meno della violazione di tali disposizioni, dettate eminentemente a fini disciplinari/deontologici (v. Cass. n. 2033/2023), ma del generale dovere di astensione da comportamenti produttivi di danni a terzi”.
Nel caso di specie, secondo la Corte, il notaio ha causato un danno irrimediabile al ricorrente in quanto non è possibile ripristinare l’originario ordine e grado della garanzia ipotecaria, ma la parte ricorrente potrà ottenere soltanto una nuova iscrizione a garanzia del credito e l’eventuale risarcimento del danno patito.
Un ulteriore profilo interessante della sentenza in commento è il “doppio binario” della responsabilità notarile:
- Ex artt. 27/28 LN per la responsabilità deontologica, limitata agli atti inequivocabilmente nulli;
- Ex artt. 1218 o 2043 cc per la responsabilità civile, applicabile ai danni cagionati anche da atti perfettamente validi.
Nel rimarcare tale distinzione – infatti – la Suprema Corte ha affermato che: n altre parole, non viene in rilievo il rispetto, da parte del notaio, delle regole deontologiche, né tampoco la valutazione circa l’espletamento del c.d. dovere di consiglio in favore del cliente, ma la verifica del parametro della condotta del notaio stesso rispetto al generale dovere del neminem laedere: se il notaio è consapevole che l’atto richiestogli si pone in violazione di una o più norme giuridiche, quand’anche queste non ne comportino la nullità, deve evidentemente interrogarsi su quali possano esserne le conseguenze, specialmente nei confronti di quei soggetti terzi che, inequivocamente, sono individuabili ex ante quali destinatari degli effetti dell’atto, benché non vi abbiano partecipato, sì da restare potenzialmente danneggiati dal compimento dell’atto stesso. Per passare al concreto: a seguito della richiesta di *** per la restrizione di una formalità ipotecaria di cui non era più titolare, per esserlo divenuta (in base alle risultanze dei RR.II., correttamente acquisite dal notaio stesso) A.A., è del tutto evidente che il notaio *** avrebbe dovuto porsi il problema – anche al lume della diligenza professionale quam in suis – della potenziale dannosità del rogito, non potendo certo di per sé confidare nell’operato del conservatore, peraltro richiesto a più riprese dell’annotazione di una simile restrizione (benché, asseritamente, destinata con certezza al suo rifiuto), né potendo limitarsi a sconsigliare *** stesso dal procedere oltre, per poi cedere alle sue insistenze. Nessun dovere di rogare l’atto può mai configurarsi ove esso sia potenzialmente pregiudizievole nei confronti di terzi estranei e, conseguentemente, anche dello stesso notaio, chiamato se del caso a risarcire il danno arrecato”. E, con precisione: “l’operato del notaio, che comunque procedette nel senso voluto dalla cliente, esuli dal cono d’ombra degli artt. 27 e 28 della legge notarile: non si tratta di individuare la sussistenza o meno della violazione di tali disposizioni, dettate eminentemente a fini disciplinari/deontologici (v. Cass. n. 2033/2023), ma del generale dovere di astensione da comportamenti produttivi di danni a terzi”.
La Cassazione, in ultimo, fa salva comunque la responsabilità del Conservatore, per non aver esercitato il potere di controllo ex art. 2674 cc; la Suprema Corte rimette dunque al Giudice di rinvio il compito di verificare se l’inadempienza del Conservatore sia tale da interrompere il nesso causale tra il danno e la condotta del notaio oppure se si configuri un concorso causale.
Francesco Laface