I diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, secondo comma, cod. civ., spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare.
La Corte di cassazione, nella pronunzia del 26 luglio 2023, n. 22566, oggetto del presente commento, affronta la vexata quaestio relativa al riconoscimento, in capo al coniuge separato senza addebito, dei diritti di abitazione e di uso sulla precedente residenza familiare, affermando, in contrasto con i precedenti giurisprudenziali di legittimità, che tali diritti gli spettino sempre, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto qualsivoglia collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare.
1. Il caso
Il caso, sottoposto all’attenzione del Supremo Collegio, trae la sua origine da una causa di divisione giudiziale, instauratasi tra la moglie e i tre figli del de cuius, deceduto ab intestato, durante la quale si è discusso in merito all’eventuale riconoscimento, in favore del coniuge superstite, dei diritti di abitazione e di uso sull’appartamento comune, e i mobili a corredo, già adibito a residenza della famiglia.
La Corte di appello di Brescia, sul presupposto che, all’apertura della successione, i due coniugi fossero già giudizialmente separati, ha negato il riconoscimento, alla moglie, dei predetti diritti sull’immobile, il quale, stante la sua indivisibilità e secondo quanto stabilito dal Tribunale di primo grado, doveva essere venduto al fine di ripartire tra i successori il ricavato.
La Suprema Corte di cassazione, nel caso di specie, censura la conclusione alla quale è pervenuta la Corte di appello di escludere il riconoscimento dei diritti di cui all’art. 540, secondo comma, cod. civ. in capo al coniuge superstite separato giudizialmente senza addebito, e lo fa seguendo due diverse direttrici: da un lato, il Supremo Collegio afferma che la qualificazione del coniuge superstite come separato non sia attinente al caso di specie, poiché, al momento dell’apertura della successione, il giudizio di separazione era ancora in corso, non essendo intervenuta alcuna sentenza per concluderlo, ma solo dei provvedimenti presidenziali provvisori; dall’altra parte, il dato di maggior rilievo è che la Corte, pur potendosi fermare a quanto detto, decide di andare oltre e di contraddire apertamente ed espressamente il principio di diritto, condiviso dalla Corte di appello e, soprattutto, da tutte le precedenti pronunce di legittimità, secondo il quale la separazione legale dei coniugi implica, necessariamente, il venir meno del presupposto per la nascita dei diritti di abitazione e di uso, divenendo impossibile, a seguito della separazione, individuare una casa adibita a residenza familiare, allorché i coniugi abbiano smesso di coabitare.
La Corte, nella sentenza in commento, ritiene invece che i diritti in questione spettino anche al coniuge separato senza addebito, ad eccezione dei soli casi in cui, dopo la separazione e prima dell’apertura della successione, l’immobile adibito a residenza familiare sia abbandonato da entrambi i coniugi o, in ogni caso, abbia perduto qualsivoglia collegamento con l’originaria destinazione familiare; di conseguenza, il coniuge superstite si vedrebbe riconosciuti tali diritti in tutti quei casi in cui, nella casa familiare, per le più varie ragioni o secondo gli accordi intercorsi, siano rimasti entrambi i coniugi, o anche uno solo dei due, con o senza i figli.
2. I diritti di abitazione e di uso del coniuge superstite
L’art. 540, secondo comma, cod. civ. attribuisce al coniuge superstite, o alla parte superstite dell’unione civile, anche quando concorra con altri chiamati, in aggiunta alla quota di riserva in proprietà piena, il diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e il diritto di uso sui mobili a suo corredo, se di proprietà del defunto o comuni (1); sebbene l’opinione quasi unanime della dottrina e della giurisprudenza sia nel senso che i diritti in esame configurino un’ipotesi di successione legale a titolo particolare(2), vivacemente discussa è, invece, la loro qualificazione in termini di legati ex lege o di prelegati: l’opinione preferibile è la prima (3). Difatti, il legislatore prevede una specifica modalità di distribuzione del peso di tali attribuzioni, che gravano anzitutto sulla disponibile e, ove questa risulti insufficiente, sulla quota di riserva del medesimo coniuge e, ancora, in subordine, su quella dei figli, cosicché tale meccanismo risulta incompatibile col metodo di funzionamento del prelegato, che, secondo quanto previsto dall’art. 661 cod. civ., grava proporzionalmente su tutti i coeredi (4).
Quanto alla ratio sottesa ai diritti in esame, è stato precisato che, mediante il loro riconoscimento,
«il legislatore ha inteso tutelare non solo l’interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio, ma anche l’interesse morale legato alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine con la casa familiare, oltre che al mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status symbols goduti durante il matrimonio (5)».
Nel disposto dell’art. 540, secondo comma, cod. civ. si rivengono i due presupposti, uno oggettivo e l’altro soggettivo, che, cumulativamente, devono sussistere ai fini dell’insorgenza dei diritti di abitazione e di uso: il primo, non direttamente rilevante ai nostri fini, consiste nell’appartenenza della casa adibita a residenza familiare al de cuius o ad entrambi i coniugi, o parti dell’unione civile (6); il secondo presupposto, invece, si sostanzia nella sussistenza, al momento dell’apertura della successione, di un valido rapporto di matrimonio, o di una valida unione civile (7).
Il problema risiede proprio nell’indicazione, genericamente formulata, del coniuge quale titolare dei diritti in oggetto.
Di sicuro tali diritti non spettano al coniuge divorziato, che non è più coniuge, il quale può solo sperare di ottenere, ove ne ricorrano i presupposti, l’assegno di cui all’art. 9-bis, L. 1° dicembre 1970, n. 898, e nemmeno debbono essere riconosciuti al coniuge separato con addebito a suo carico, poiché egli potrà ricevere, al più, l’assegno di cui agli artt. 548 e 585, secondo comma, cod. civ., nei limiti, con le modalità e i presupposti ivi indicati.
La formulazione sbrigativa del presupposto soggettivo dei diritti di abitazione e di uso è ciò che dà origine alla vexata quaestio riguardante il loro riconoscimento in favore del coniuge che, al momento dell’apertura della successione, si trovi ad essere separato legalmente dal defunto, ma senza addebito a proprio carico; la complessità del problema è acuita dal contrasto sussistente tra i seguenti elementi: da una parte, gli artt. 548 e 585, primo comma, cod. civ. attribuiscono al coniuge separato senza addebito i medesimi diritti successori riconosciuti al coniuge non separato; dall’altra parte, però, l’art. 540, secondo comma, cod. civ. riconosce un diritto di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare la cui ratio, consistente nel soddisfacimento dell’interesse morale alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine col luogo in cui si è svolta la comunione di vita dei coniugi, mal si concilia con un’attribuzione, di tale diritto, al coniuge separato, benché senza addebito.
In definitiva, in via di prima approssimazione, la scelta che si prospetta è la seguente: ove si voglia far prevalere il riferimento alla medesimezza dei diritti successori del coniuge non separato con quello separato senza addebito, si sarà portati a riconoscere i diritti di abitazione e di uso anche in favore di quest’ultimo; ove, invece, si desideri dare risalto al fondamento della norma in esame, si sarà maggiormente portati ad escludere tale riconoscimento, poiché è evidente che la ratio in questione difficilmente si attaglia alla separazione dei coniugi, la quale dà luogo alla disgregazione, benché non necessariamente definitiva, della compagine familiare, che, tendenzialmente, non possiederà più una residenza nel senso di cui all’art. 144 cod. civ.
3. Le posizioni della dottrina
Le interpretazioni dottrinali e giurisprudenziali anteriori rispetto alla pronuncia in commento registrano, tra di loro, una divaricazione: difatti, se da un lato la dottrina, o almeno parte di essa, si è dimostrata più possibilista, seppur con sfumature diverse, nel riconoscere i diritti in oggetto al coniuge separato senza addebito, viceversa, la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, ha sempre adottato un atteggiamento più rigido e rigoroso.
Più nello specifico, quanto alla dottrina, si può osservare come i diversi orientamenti emersi nel corso del tempo possano essere ricondotti, in sostanza, a tre diversi filoni interpretativi (8); il primo di questi esclude in radice l’attribuibilità di tali diritti al coniuge superstite, poiché lo stato di separazione determinerebbe, di necessità, la mancanza dell’effettiva esistenza di una casa familiare, che costituirebbe, invece, il requisito fondamentale richiesto dalla legge per l’insorgenza dei diritti di abitazione e di uso (9).
La seconda interpretazione si pone agli antipodi della prima, e ritiene che i diritti in esame non competano al coniuge separato superstite solo nell’ipotesi in cui l’originaria residenza comune sia stata abbandonata da entrambi i coniugi; pertanto, tali diritti sorgerebbero, invece, qualora almeno uno dei due coniugi sia rimasto ad abitarla fino all’apertura della successione, indipendentemente dal fatto che si tratti del coniuge superstite o di quello premorto(10).
Vi è, infine, l’orientamento intermedio, talvolta definito come prevalente (11) e preferibile (12), il quale ritiene che «il coniuge superstite sia titolare dei diritti in esame, nonostante la separazione, ogni qual volta abbia continuato a vivere nella casa già adibita a residenza familiare, in forza di accordo con l’altro coniuge o per disposizione del giudice(13)»; dunque, mentre il secondo orientamento privilegia fortemente il dato dell’equiparazione fra i diritti successori del coniuge separato senza addebito con quelli del coniuge non separato secondo il disposto degli artt. 548 e 585, primo comma, cod. civ., viceversa, la terza interpretazione si colloca in una posizione mediana ed equidistante all’interno del menzionato conflitto tra tale equiparazione e la ratio dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., limitando il riconoscimento dei diritti d’abitazione e d’uso ai casi in cui i due coniugi, o solo il coniuge superstite, abbiano continuato a vivere nella residenza familiare anche dopo la separazione, ed escludendo, pertanto, che tali diritti possano essere riconosciuti al coniuge superstite ove sia stato proprio quest’ultimo a lasciare la precedente casa coniugale.
Da non trascurare sono i casi in cui i coniugi, prima di separarsi legalmente, abbiano generato dei figli, dacché, a fronte della crisi della compagine familiare, l’autorità giudiziaria, oltre a disporre l’affidamento condiviso od esclusivo di questi ultimi, disciplina, ai sensi dell’art. 337-sexies cod. civ., il godimento della casa familiare: con i figli, infatti, potrebbe continuare a convivere il genitore che poi premorrà, oppure l’altro, mentre appare inverosimile l’ipotesi in cui, a fronte della separazione e dei provvedimenti del giudice, sia i coniugi che i figli continuino a vivere tutti nella medesima unità abitativa. Nel primo caso, dove il coniuge superstite non convive con i figli al tempo dell’apertura della successione, i diritti di abitazione e di uso gli spetterebbero alla luce del secondo orientamento, ma non in base al terzo(14); qualora, invece, sia il coniuge superstite a convivere con la prole, gli verrebbero riconosciuti tali diritti a prescindere che si opti per l’una o per l’altra delle due posizioni dottrinali in questione (15); nell’ultimo caso, improbabile ma non impossibile, ove entrambi i genitori, nonostante la separazione, convivano, al momento dell’apertura della successione, con i figli, è chiaro che, rispetto alle ipotesi precedenti, risulta più semplice riconoscere al coniuge superstite i diritti di abitazione e di uso, nonostante la comunione dei coniugi sia stata intaccata dalla loro separazione consensuale o giudiziale.
4. La giurisprudenza precedente
Come è stato anticipato, all’interno del tema in oggetto, l’interpretazione giurisprudenziale, complessivamente, è sempre stata piuttosto rigida; più nel dettaglio, quanto alla giurisprudenza di merito, si registrano due interventi, non recenti, entrambi di segno contrario al riconoscimento dei diritti di abitazione e di uso al coniuge separato, non legalmente, ma, solo, di fatto (16); quanto alle pronunce della Suprema Corte, invece, sono tre gli interventi che precedono la sentenza in commento(17).
Le prime due sentenze, in ordine cronologico, emanate a qualche mese di distanza l’una dall’altra, sono caratterizzate da una medesimezza del dictum giudiziale e da una stretta somiglianza delle vicende concrete che hanno occasionato le pronunce di legittimità: sotto quest’ultimo profilo, in entrambi i casi i due coniugi si erano separati consensualmente cinque anni prima dell’apertura della successione e, pertanto, la casa familiare, al momento del decesso del coniuge, risultava non abitata dal coniuge superstite(18); sotto il primo profilo, la Corte, in entrambi i pronunciamenti, statuisce che, in caso di separazione personale dei coniugi e di cessazione della convivenza, l’impossibilità di individuare una casa adibita a residenza familiare comporta il venir meno del presupposto oggettivo richiesto ai fini dell’attribuzione dei diritti in esame: difatti, l’applicabilità dell’art. 540, secondo comma, cod. civ. è condizionata all’effettiva esistenza, al momento dell’apertura della successione, di una casa adibita ad abitazione familiare, evenienza che non ricorre allorché, a seguito della separazione personale, sia cessato lo stato di convivenza tra i coniugi (19).
Dunque, all’esito di questi due interventi, la Corte sembra orientata nel senso di vietare il riconoscimento dei diritti in oggetto al coniuge superstite separato senza addebito, eccettuato il caso, del tutto improbabile, in cui i coniugi, nonostante la separazione, abbiano continuato a convivere; bisogna sottolineare due aspetti: da un lato, emerge che la Suprema Corte, nel dissidio tra la ratio della norma in esame e l’equiparazione dei diritti successori tra coniuge separato e non separato, fa prevalere di gran lunga la prima, che, oltretutto, viene riportata per esteso in entrambe le sentenze; dall’altro lato, bisogna evidenziare che, quand’anche i coniugi separati stessero convivendo nella casa familiare al momento dell’apertura della successione, e quindi sussista, secondo la Corte, il presupposto oggettivo per il riconoscimento dei diritti di abitazione e di uso, tale residenza, in realtà, non deve essere ricondotta al disposto dell’art. 144 cod. civ., ma può, al più, essere intesa come mera coabitazione materiale, poiché la compagine familiare permane, comunque, in uno stato di crisi ricollegabile alla separazione dei coniugi (20), salvo che questi ultimi decidano di riconciliarsi ai sensi dell’art. 157 cod. civ.
Nel terzo e ultimo precedente di legittimità, pronunciato, stavolta, nella forma dell’ordinanza, la Corte, in sostanza, si pone in continuità con il principio di diritto adoperato dagli interventi precedenti (21); piuttosto, un elemento di novità risiede nelle caratteristiche della fattispecie concreta dalla quale si è originato il contenzioso: il coniuge superstite, infatti, a differenza di quanto si è visto per gli altri due pronunciati, in tal caso, in virtù di una previsione contenuta nell’accordo omologato di separazione consensuale, aveva continuato ad abitare nella precedente residenza familiare sino, ma anche successivamente, all’apertura della successione del coniuge proprietario deceduto, il quale, invece, aveva lasciato la casa d’abitazione (22). La novità, dunque, sta nel fatto che, mentre nei due casi precedenti i diritti di abitazione e di uso non sarebbero stati riconosciuti anche qualora si fosse optato per il terzo orientamento dottrinale, di tenore intermedio, di cui si è parlato (23); viceversa, nella fattispecie in esame, ove si fosse optato per quest’ultimo, tali diritti sarebbero stati riconosciuti, proprio perché il coniuge superstite, al momento dell’apertura della successione, abitava legittimamente nella precedente residenza familiare. Pertanto, la Corte, benché solo indirettamente, sconfessa tale interpretazione dottrinale, talvolta reputata, come visto, quella prevalente o preferibile (24).
5. Cass., 26 luglio 2023, n. 22566
Venendo alla pronuncia in commento, si è già precisato che la Suprema Corte non si è arrestata alla considerazione secondo cui i coniugi, nel caso di specie, al momento dell’apertura della successione, non erano ancora separati giudizialmente, elemento che, già di per sé, avrebbe consentito di cassare con rinvio la sentenza di appello (25); al contrario, la Corte, volutamente, si è scontrata col giudice del precedente grado di giudizio e, soprattutto, con le anteriori pronunce di legittimità, sul loro stesso terreno, enunciando un principio di diritto di tenore diametralmente opposto rispetto all’interpretazione giurisprudenziale sinora implementata e seguita. Difatti, affermando che «i diritti di abitazione e uso, accordati al coniuge superstite dall’art. 540, secondo comma, cod. civ., spettano anche al coniuge separato senza addebito, eccettuato il caso in cui, dopo la separazione, la casa sia stata lasciata da entrambi i coniugi o abbia comunque perduto ogni collegamento, anche solo parziale o potenziale, con l’originaria destinazione familiare», la Suprema Corte ribalta il preesistente rapporto tra regola ed eccezione: se prima tali diritti, al coniuge separato senza addebito, non dovevano mai essere riconosciuti, tranne che nell’improbabile caso in cui i coniugi avessero continuato a convivere nonostante la separazione; adesso, invece, i diritti in questione devono essere sempre riconosciuti al coniuge superstite non proprietario al quale non sia stata addebitata la separazione, tranne che nell’unico caso in cui entrambi i coniugi, prima dell’apertura della successione, abbiano lasciato la precedente casa familiare.
La Corte, oltre a precisare che la norma menzionata «non annovera fra i presupposti per l’attribuzione dei diritti la convivenza tra i coniugi», afferma, quale principale argomento a sostegno della posizione adottata, che «la lettera dell’art. 548 cod. civ. è chiara nel parificare i diritti successori del coniuge separato senza addebito a quelli del coniuge non separato»; pertanto, la pronuncia, all’interno del dissidio sopra menzionato, fa prevalere tale equiparazione di diritti successori, a scapito della ratio dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., la quale, peraltro, non viene richiamata nel testo della sentenza.
È opportuno sottolineare il salto interpretativo compiuto anche da un altro punto di vista: la Corte decide di abbandonare la precedente interpretazione restrittiva, non per approdare alla condivisione di quell’orientamento dottrinale intermedio che riconosce tali diritti, in sostanza, solo quando il coniuge superstite stesse abitando, anche da solo, nella precedente casa familiare al momento dell’apertura della successione, ma, anzi, il Supremo Collegio giunge a far propria quell’interpretazione dottrinale, sopra riportata, che, più di tutte, si poneva in contrasto con la precedente posizione giurisprudenziale, la quale, quindi, subisce un vero e proprio revirement.
Quanto ai casi in cui l’unione matrimoniale abbia generato dei figli, si è già ricordato che, indipendentemente dal fatto che, dopo la separazione, l’autorità giudiziaria abbia assegnato il godimento della casa familiare, secondo l’art. 337-sexies cod. civ., all’uno o all’altro genitore, l’adozione dell’interpretazione in questione determina sempre il riconoscimento, in capo al coniuge superstite non proprietario, dei diritti di abitazione e di uso sulla residenza familiare, poiché all’interno di essa ha continuato ad abitare, dopo la separazione, almeno uno dei coniugi, insieme, per di più, alla prole.
Infine, quanto al coniuge superstite separato di fatto, la Suprema Corte si limita ad affermare, in merito al riconoscimento dei diritti di abitazione e di uso nei suoi confronti, che, in tal caso, a maggior ragione, occorre riferirsi a criteri analoghi rispetto a quelli da lei stessa enunciati.
6. Critica e considerazioni conclusive
La nuova posizione adottata dal Supremo Collegio, a mio avviso, non convince, poiché, ugualmente e specularmente rispetto al precedente orientamento di legittimità, omette di tentare di trovare un bilanciamento, quanto più ragionevole possibile, tra i più volte richiamati termini della questione: da un lato, l’equiparazione dei diritti di cui all’art. 548, primo comma, cod. civ. e, dall’altro lato, la ratio, e i presupposti, dell’art. 540, secondo comma, cod. civ.; difatti, a mio parere, tale bilanciamento tra questi indici normativi, data l’assenza di una disposizione che precisamente riconosca i diritti di abitazione e di uso al coniuge superstite separato senza addebito, è ciò che l’interprete deve ricercare, in modo da trovare una soluzione che si armonizzi con il sistema e, in particolare, con gli stessi elementi predetti.
I due orientamenti di legittimità che si sono susseguiti, invece, incrinano il sistema, poiché, pur riconoscendo che non sia facile pervenire, sul punto, ad una conclusione immune da censure, essi portano palesemente, in direzioni opposte, a conseguenze irragionevoli: il primo, meno recente, comporterebbe l’esclusione dei diritti in oggetto in capo a quel coniuge separato senza addebito che, dopo la separazione, abbia continuato ad abitare, senza l’altro coniuge, nella casa familiare, sulla base di un accordo o di un provvedimento giudiziale; il secondo, espresso dalla pronuncia in commento, porterebbe a riconoscere i diritti a favore, addirittura, di quel coniuge che, a fronte della separazione, abbia lasciato la residenza familiare, purché l’altro abbia continuato ad abitarvi.
Da questi ultimi due esempi, a mio avviso, emerge come entrambi gli orientamenti, e, per quello che qui interessa, soprattutto il secondo di essi, infrangano la ratio sottesa ai diritti di abitazione e di uso, che consiste, come già ricordato, nella tutela dell’interesse morale del coniuge superstite alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine con la casa familiare, poiché, nel primo caso, ove tale interesse morale sussiste, i diritti verrebbero negati, mentre, nel secondo esempio, ove non si riscontra la ratio in questione, tali diritti verrebbero comunque riconosciuti in capo al coniuge superstite.
Alla luce di quanto affermato, a mio parere, invece, coglie nel segno quell’orientamento dottrinale, intermedio, che opta per l’attribuzione dei diritti di abitazione e di uso a favore del coniuge superstite separato senza addebito solo qualora egli stesse abitando, al momento dell’apertura della successione, nella precedente casa familiare, insieme al coniuge defunto o da solo; difatti, tale interpretazione permette di conciliare e bilanciare, tra loro, i termini della questione: da un lato, riconosce i diritti al coniuge separato senza addebito equiparando la sua posizione giuridica a quella del coniuge non separato, ma, dall’altro lato, ciò accade solo se il coniuge superstite, al momento dell’apertura della successione, stesse abitando nella precedente casa coniugale, poiché solo in tale ipotesi sussiste quell’interesse morale alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine con la residenza familiare, il quale, invece, si stempera, e finisce col difettare, qualora, in seguito alla separazione, tale coniuge l’abbia lasciata.
Qualora l’unione coniugale abbia generato dei figli, si sono già evidenziate le conseguenze dell’adozione di tale interpretazione: il genitore superstite si vede attribuiti i diritti solo qualora, al momento dell’apertura della successione, stesse convivendo con la prole nella casa familiare in forza del provvedimento giudiziale di cui all’art. 337-sexies cod. civ.; pertanto, qualora, invece, fosse il coniuge defunto a convivere con i figli, ecco che l’altro genitore non si vede riconosciuti i diritti di abitazione e di uso in seguito al venir meno del coniuge, potendo egli ottenere, al più, il godimento della casa familiare (26), in virtù di quanto disposto dall’autorità giudiziaria, che, comunque, deve avere riguardo al prioritario interesse dei figli.
Per quello che riguarda il coniuge separato di fatto, debbono valere analoghe considerazioni, poiché, vero è che la situazione di crisi della compagine familiare non viene formalizzata, e che, pertanto, essa non produce, di regola, degli effetti giuridici (27), ma, ove il coniuge superstite non abiti nella residenza familiare al momento dell’apertura della successione, si stempera l’interesse morale, più volte citato, alla conservazione dei rapporti affettivi e di consuetudine con la casa familiare (28), come nel caso del coniuge separato legalmente.
D’altra parte, un caso sintomatico in cui i diritti di abitazione e di uso potrebbero non essere riconosciuti in capo al coniuge superstite, benché non legalmente separato, è quello in cui egli, prima della scomparsa dell’altro coniuge, abbia attuato la condotta di cui all’art. 146, primo comma, cod. civ., allontanandosi, senza giusta causa, dalla residenza familiare e dimostrando, in tal modo, un disprezzo o, comunque, un disinteresse verso quest’ultima che, a mio avviso, si pone in contraddizione con la ratio sottesa a tali diritti.
In penultima battuta, ci si può chiedere se il disposto dell’art. 6, primo comma, L. 27 luglio 1978, n. 392, il quale prevede che, in caso di morte del conduttore, gli succedano nel contratto di locazione il coniuge (29), gli eredi, i parenti e gli affini con lui abitualmente conviventi, possa incidere sui discorsi sinora svolti, magari prospettando un’estensione, in via analogica, del requisito dell’abituale convivenza anche alla fattispecie dell’attribuzione dei diritti di abitazione e di uso; tale soluzione mi sembra da escludere, poiché il legato ex lege di posizione contrattuale in questione, che, oltretutto, configura un caso di vocazione anomala (30), dà luogo ad una fattispecie del tutto non assimilabile a quella che abbiamo analizzato: da una parte, infatti, la successione nel contratto di locazione stipulato dal defunto è prevista anche a favore di soggetti, conviventi, diversi dal coniuge; dall’altra parte, profondamente diversa è la natura delle situazioni giuridiche coinvolte: da un lato, la norma in oggetto consente di succedere all’interno di un contratto che determina l’attribuzione di un mero diritto personale di godimento, mentre, dall’altro lato, i diritti di abitazione e di uso rappresentano dei diritti reali di godimento (31).
In ultimo luogo, tornando alla pronuncia in commento, si sottolinea che, a fronte del dissidio delineatosi all’interno della giurisprudenza di legittimità e, in particolare, della Seconda Sezione della Suprema Corte (32), e abbandonata la speranza di un intervento legislativo chiarificatore che, sinora, sul punto, non c’è mai stato, ecco che, dunque, risulta fortemente auspicabile l’intervento delle Sezioni Unite, di modo che possano porre fine alla querelle, optando per l’uno o per l’altro orientamento di legittimità, oppure, magari, scegliendo la terza posizione ricordata, fino a questo momento prospettata solo a livello dottrinale, ma che possiede, comunque, la possibilità di affermarsi in seno alla giurisprudenza della Suprema Corte, dato che, com’è noto, le Sezioni Unite possono decidere di adottare anche un orientamento diverso da quelli sposati dalle pronunce che hanno determinato il conflitto interpretativo.
1 In questi termini, v. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2022, XI ed., p. 168.
2 In tal senso, si veda G. Capozzi, Successioni e donazioni, Milano, 2023, V ed., p. 490, dove, alla nota 1007, si aggiunge altresì che sussiste una tesi, allo stato del tutto minoritaria, secondo cui tali diritti costituirebbero un ampliamento della quota ereditaria riservata al coniuge, con la conseguenza che il loro acquisto avverrebbe a titolo universale a non a titolo particolare.
3 In questo senso, v.: G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 169; G. Capozzi,
Successioni e donazioni, cit., p. 491.
4 In questi termini, si veda G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 491-492.
Quanto alle modalità di calcolo di tali diritti nel contesto della successione legittima, sul presupposto che essi siano riconosciuti al coniuge superstite anche in tale ambito, si veda G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 684-688.
5 Così, G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., p. 489; per la giurisprudenza, si veda Corte Cost., 26 maggio 1989, n. 310, in Giust. civ., 1989, p. 1782.
Sul punto, v. anche: L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, in Tratt. dir. civ. comm., già dir. da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1999, VI ed., p. 171; C. Coppola, I diritti d’abitazione e d’uso spettanti ex lege, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. III, La successione legittima, Milano, 2009, pp. 101-105; L. Agostara, Successione mortis causa e riserva a favore del coniuge del diritto di abitazione sulla casa familiare, in Actualidad Jurídica Iberoamericana, num. 3-bis, 2015, p. 513; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 168.
6 Per la trattazione del problema riguardante il caso della casa familiare in comproprietà del coniuge defunto con un terzo, si veda G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 494-496.
7 In questi termini, v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 492-493.
8 Per tale ricostruzione, si veda C. Coppola, I diritti d’abitazione e d’uso spettanti ex lege, cit., pp. 132-135.
9 In tal senso, v.: M. G. Falzone Calvisi, Il diritto di abitazione del coniuge superstite, Napoli, 1993, p. 127 ss.; Giu. Azzariti – A. Iannaccone, Successioni dei legittimari e successioni dei legittimi, in Giur. sist. dir. civ. e comm., fondata da W. Bigiavi, Torino, 1997, III ed., p. 99.
10 In questi termini, si veda L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione legittima, cit., p. 176; inoltre, cfr. A. Mascheroni, La successione del coniuge dopo la riforma del diritto di famiglia, in Riv. not., 1985, p. 418.
11 In questi termini, v. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 169.
12 In questi termini, v. C. Coppola, I diritti d’abitazione e d’uso spettanti ex lege, cit., p. 134;
13 Così, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 169.
14 Si veda G. F. Basini, I diritti successorii del coniuge separato, cit., pp. 191-192, dove, giustamente, si mette in evidenza che il coniuge non proprietario, e non convivente con i figli, alla morte dell’altro genitore, può vedersi attribuito il godimento della casa familiare, insieme ai figli che già ci vivono, non in forza dei diritti di abitazione e di uso di cui all’art. 540, secondo comma, cod. civ., ma in virtù del provvedimento dell’autorità giudiziaria, ove quest’ultima reputi che tale soluzione sia confacente rispetto all’interesse dei figli medesimi.
In generale, non è di poco rilievo la distinzione tra i diritti di cui all’art. 540, secondo comma, cod. civ. e il diritto di godimento riconosciuto al genitore, convivente con i figli, di cui all’art. 337-sexies cod. civ.: difatti, la portata dei primi è di gran lunga maggiore di quella del secondo, già solo per il fatto che, mentre per i diritti di abitazione e di uso non sono testualmente previste delle fattispecie di estinzione, viceversa, è espressamente previsto che l’assegnazione della casa familiare venga meno qualora il genitore assegnatario non vi abiti, cessi di abitarvi stabilmente, oppure conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
Si veda anche L. Agostara, Successione mortis causa e riserva a favore del coniuge del diritto di abitazione sulla casa familiare, cit., p. 514
15 Tale conclusione non è di poco momento, poiché, così facendo, a partire dall’apertura della successione il genitore superstite beneficerà, non più del diritto al godimento della casa familiare di cui all’art. 337-sexies cod. civ., ma dei diritti di abitazione e di uso in esame, che, come riportato nella nota precedente, hanno un’estensione ben più ampia di quest’ultimo.
16 In tal senso, si veda: App. Venezia, 14 giugno 1984, in Giur. it., 1986, I, 2, c. 28, con nota critica di L. Mezzanotte, Vanificazione del diritto di abitazione spettante al coniuge separato di fatto; Trib. Foggia, 30 gennaio 1993, in Giust. civ., 1993, I, p. 1652. In particolare, la prima pronuncia ha ritenuto non lesiva della legittima del coniuge separato di fatto la disposizione testamentaria con la quale il de cuius aveva attribuito al convivente more uxorio l’appartamento in cui avevano coabitato, e la seconda pronuncia ha escluso il riconoscimento dei diritti di abitazione e di uso al coniuge superstite separato di fatto che aveva fissato altrove la propria residenza.
anche: C. Coppola, I diritti d’abitazione e d’uso spettanti ex lege, cit., p. 133, testo e nota 112; L. Agostara, Successione mortis causa e riserva a favore del coniuge del diritto di abitazione sulla casa familiare, cit., p. 512, testo e nota 16; G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 493-494, testo e nota 1014.
17 Si veda: Cass., 12 giugno 2014, n. 13407, in Dir. e giust., 2014, n. 1, p. 101, con nota di D. Achille, Diritto d’abitazione della casa familiare: la Cassazione dice no al coniuge separato, anche senza addebito; Cass., 22 ottobre 2014, n. 22456, in Riv. not., 2015, n. 1, p. 204 ss., con nota di C. Cicero – S. Deplano, Profili evolutivi dell’art. 540, secondo comma, cod. civ.: effettività della destinazione «a residenza familiare» e rilevanza degli interessi extrapatrimoniali del coniuge superstite; Cass., ord., 5 giugno 2019, n. 15277, in Nuova giur. civ. comm., 2019, 6, p. 1338 ss., con nota di M. Farneti, Non spetta dunque mai al coniuge superstite separato il diritto di abitare nella casa adibita a residenza familiare?.
18 In tal senso, si veda M. Farneti, Non spetta dunque mai al coniuge superstite separato il diritto di abitare nella casa adibita a residenza familiare?, cit., p. 1342.
19 In questi termini, v.: Cass., 12 giugno 2014, n. 13407, cit.; Cass., 22 ottobre 2014, n. 22456, cit.
20 Cfr. G. F. Basini, I diritti successorii del coniuge separato, cit., pp. 186-187, testo e nota 17, dove si dice che
«non sempre la separazione esclude l’esistenza di una casa di comune residenza, almeno nel senso di casa in cui i coniugi coabitano, al momento dell’apertura della successione», e si aggiunge che, forse, per integrare il disposto dell’art. 540, secondo comma, cod. civ., potrebbe essere sufficiente anche la sola coabitazione, la cui nozione non coincide con quella di convivenza; d’altra parte, «che i coniugi continuino a coabitare, pur non potendosi più dire conviventi, anche dopo la separazione personale, o, addirittura, dopo lo scioglimento del matrimonio, è evento raro, ma non impossibile».
21 In questi termini, v. Cass., ord., 5 giugno 2019, n. 15277, cit., pp. 1344-1345.
22 Si veda Cass., ord., 5 giugno 2019, n. 15277, cit., p. 1345.
23 Secondo il quale il coniuge superstite è titolare dei diritti di abitazione e di uso, nonostante la separazione, ogni qual volta abbia continuato a vivere nella casa già adibita a residenza familiare, in forza di accordo con l’altro coniuge o per disposizione del giudice.
D’altra parte, invece, in tutte e tre le fattispecie concrete sottoposte al vaglio della giurisprudenza, ove si fosse optato per il secondo orientamento dottrinale, il più largheggiante, ecco che avrebbe sempre trovato luogo il riconoscimento dei diritti in questione, a patto che almeno uno dei due coniugi, quello superstite o quello premorto, fosse rimasto a vivere nella precedente casa familiare fino al momento dell’apertura della successione, venendo meno, tale attribuzione, solo nella residua ipotesi in cui l’originaria residenza comune fosse stata abbandonata da entrambi i coniugi.
24 Cfr. M. Farneti, Non spetta dunque mai al coniuge superstite separato il diritto di abitare nella casa adibita a residenza familiare?, cit., p. 1343.
25 La quale ha applicato al caso di specie, dove, per l’appunto, i due coniugi non erano ancora giudizialmente separati, il principio di diritto che la giurisprudenza di legittimità ha elaborato con riferimento, invece, alla fattispecie dei coniugi già separati al momento dell’apertura della successione di uno di questi.
26 È già stata sottolineata la differenza tra la più ampia estensione dei diritti di abitazione e di uso e la portata, più ridotta, del diritto di godere della casa familiare di cui all’art. 337-sexies cod. civ.
27 In tal senso, si veda G. Bonilini, Manuale di diritto di famiglia, Torino, 2023, XI ed., p. 277 ss.
28 Si ricorda nuovamente che la ratio dei diritti di abitazione e di uso a favore del coniuge superstite è stata individuata, in questi termini, dalla Consulta, con la sentenza Corte Cost., 26 maggio 1989, n. 310.
29 La Consulta, con la sentenza Corte Cost., 7 aprile 1988, n. 404, ha dichiarato incostituzionale questa disposizione nella parte in cui non prevede, tra i successibili nella titolarità del contratto di locazione, in caso di morte del conduttore, il convivente more uxorio. D’altra parte, al contrario, la Corte, con la sentenza, già menzionata, Corte Cost., 26 maggio 1989, n. 310, ha escluso l’illegittimità costituzionale dell’art. 540, secondo comma, cod. civ. nella parte in cui non riconosce i diritti di abitazione e di uso anche al convivente more uxorio, asserendo che tali diritti spettano al coniuge in quanto legittimario. Si veda L. Agostara, Successione mortis causa e riserva a favore del coniuge del diritto di abitazione sulla casa familiare, cit., p. 513.
30 In questi termini, v. G. Capozzi, Successioni e donazioni, cit., pp. 701-702; vengono definite anomale quelle vocazioni che si discostano dai principi propri delle successioni legittime e, nella fattispecie in esame, l’anomalia risiede nell’attribuzione della facoltà di succedere nel contratto di locazione esclusivamente a determinati soggetti. che convivevano abitualmente con il conduttore defunto.
31 Trattasi di una distinzione non troppo lontana rispetto a quella che abbiamo tracciato tra questi stessi diritti e l’attribuzione del godimento della casa familiare di cui all’art. 337-sexies cod. civ.
32 Difatti, essendo competente nella materia delle successioni, tutte e quattro le pronunce di legittimità analizzate sono state da essa emanate.
Michele Piccolo