Il caso sottoposto alla Corte di cassazione; 2. L’imputazione ex se; 3. La dispensa da imputazione ex se e la sua natura giuridica.
- Il caso sottoposto alla Corte di cassazione.
A mezzo della sentenza del 6 febbraio 2024, n. 3352, la Corte di cassazione ha avuto modo di pronunziarsi sulla natura giuridica della dispensa da imputazione ex se, da sempre oggetto di un vivo e acceso dibattito dottrinale e giurisprudenziale.
La controversia, sulla quale sono stati chiamati a pronunziarsi i giudici di legittimità, trae origine dallo scioglimento di una comunione ereditaria. Nel caso di specie, infatti – in virtù della divisione giudiziale della comunione ereditaria relativa all’eredità di Tizio e della moglie Tizia, pronunziata dal Tribunale di Napoli, con la sentenza n. 1103 del 2012, pubblicata in data 30 gennaio 2012, previa riduzione delle donazioni e al netto dell’operatività dell’istituto della collazione, di cui all’art. 737 cod. civ. –, venivano assegnati ai figli Caio, Mevio e Lavinia distinte unità immobiliari, facenti parte di un medesimo edificio, secondo il progetto divisionale predisposto dal consulente tecnico d'ufficio, ponendo a carico dei due fratelli conguagli a favore della sorella Lavinia. Peraltro, lo scioglimento definitivo della suddetta comunione ereditaria coinvolgeva unicamente i tre figli, in quanto, precedentemente, gli altri coeredi avevano ceduto a costoro le proprie quote ereditarie, così uscendo dalla comunione medesima.
Proponeva appello, dunque, Mevio, lamentando che la quota a lui attribuita, in sede divisoria, fosse inferiore a quanto spettantegli, a causa della mancata attribuzione in suo favore di una porzione della quota disponibile, nonché per errori di calcolo compiuti dal consulente d’ufficio. In particolare, l’attore riteneva che necessariamente allo stesso dovesse competere anche una porzione della così detta quota disponibile, in quanto beneficiario di una donazione, compiuta nel 1965 dai propri genitori in suo favore, in conto disponibile e con espressa dispensa da imputazione.
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza n. 80 del 2018, pubblicata il 10 gennaio 2018, accoglieva la domanda attorea limitatamente alla quantificazione del conguaglio, osservando che, in tal senso, errori di calcolo erano stati compiuti nella relativa quantificazione; allo stesso tempo, per il resto, veniva rigettato l’appello, in quanto si osservava che, nonostante la donazione in favore di Mevio fosse stata realizzata in conto disponibile e con espressa dispensa da imputazione ex se, successivamente, entrambi i genitori, Tizio e Tizia, avevano attribuito, a mezzo di testamento pubblico, la quota disponibile dei relativi patrimoni alla figlia Lavinia.
Pertanto, secondo lo scrutinio della Corte di appello, così facendo, i due coniugi, con una manifestazione di volontà chiara e univoca, avevano, di fatto, non revocato in modo espresso quanto in precedenza previsto con la donazione, ma, implicitamente, annullato le precedenti disposizioni incompatibili, ai sensi dell’art. 682 cod. civ. In altri termini, si è ritenuto che, nel caso di specie, Tizio e Tizia avessero revocato, a mezzo dei propri testamenti pubblici, in parte, quanto precedentemente disposto all’interno della donazione, in quanto incompatibile.
Alla luce di tale conclusione, Mevio proponeva ricorso innanzi alla Suprema Corte, affidando le proprie ragioni a due motivi: soffermando l’attenzione sul primo di essi, la parte attrice riteneva che la Corte di appello aveva errato nel qualificare la sopra citata donazione come effettuata in conto di legittima, in quanto tale donazione era stata compiuta in conto disponibile e con espressa dispensa da imputazione; inoltre, veniva denunciata una scorretta applicazione dell’art. 682 cod. civ., poiché, essendo la donazione un contratto tra vivi, soggetto a revoca nei soli tassativi casi di cui agli artt. 800 ss. cod. civ., si riteneva inapplicabile l’art. 682 cod. civ., dettato in materia testamentaria.
La Corte di Cassazione, ritenendo fondato il suddetto motivo, ha osservato che in un unico passaggio della sentenza la Corte di appello sia incorsa in un mero errore materiale, riferendosi ad una donazione disposta in conto di legittima – e non in conto disponibile –, ma, comunque, in ogni caso, la suddetta Corte ha sviluppato l’intero ragionamento giuridico riferendosi ad una donazione in conto disponibile; in altri termini, i giudici di legittimità hanno ben messo in luce un errore puramente materiale della sentenza impugnata, senza, però, che esso abbia influito sull’esito del giudizio.
In secondo luogo, soffermandosi sulla natura giuridica della dispensa da imputazione, ai sensi dell’art. 564, secondo comma, cod. civ. – e definendo questa, quindi, quale negozio autonomo, seppur correlato alla donazione medesima –, la Suprema Corte ha accolto il ricorso presentato dal signor Mevio, censurando l’applicazione dell’art. 682 cod. civ.; in particolare, infatti, si è osservato che se per la dispensa da imputazione, come affermato dalla prevalente e dominante dottrina, è necessaria un’espressa e chiara volontà, in tale direzione, lo stesso deve dirsi ai fini di una sua revoca, «in quanto atto successivo e di contenuto contrario a quello per il quale è previsto il requisito della forma espressa […], restando esclusa l'utilizzabilità di elementi extra-negoziali e la desumibilità di una volontà in tal senso per implicito» (così, Cass. 6 febbraio 2024, n. 3352).
Proseguendo, la Corte di cassazione, pertanto, ha osservato che «la sentenza impugnata, dopo avere verificato e testualmente dichiarato che i testamenti non revocavano in modo espresso quanto in precedenza previsto con l'atto di donazione, avrebbe dovuto limitarsi a prendere atto della mancanza di revoca della dispensa dell'imputazione e procedere alla decisione tenendo conto del fatto che la donazione a favore del figlio era stata eseguita in conto disponibile e con dispensa dall'imputazione» (cfr., Cass. 6 febbraio 2024, n. 3352).
In conclusione, ritenendo che l’attribuzione per testamento della quota disponibile ad un erede non sia incompatibile, né letteralmente, né logicamente, con la precedente attribuzione della donazione in conto disponibile e con dispensa dall'imputazione a favore di altro soggetto, i giudici di legittimità hanno accolto il primo motivo di ricorso, dichiarato assorbito il secondo, cassando la sentenza impugnata e, pertanto, rinviando la causa alla Corte di appello di Napoli, in diversa composizione.
- L’imputazione ex se.
L’art. 564, secondo comma, cod. civ. dispone che: «[…] il legittimario, che domanda la riduzione di donazioni o di disposizioni testamentarie, deve imputare alla sua porzione legittima le donazioni e i legati a lui fatti, salvo che ne sia stato espressamente dispensato».
In particolare, la suddetta disposizione prevede, quale condizione necessaria ai fini dell’esperimento in giudizio dell’azione di riduzione, in aggiunta all’accettazione con beneficio d’inventario, l’imputazione delle donazioni e dei legati, disposti dal de cuius, a favore del beneficiario-legittimario, alla porzione legittima di costui [1].
La ratio della norma viene ricondotta alla presunzione che, salvo espressa dispensa, possibilità riconosciuta dalla chiusa dell’art. 564, secondo comma, cod. civ., le donazioni, i legati e, più in generale, ogni altra attribuzione, compiuta dal de cuius, a favore di chi agisce in riduzione [2], debbano considerarsi mere anticipazioni sulla quota di legittima [3]; pertanto, ai fini di determinare quanto il legittimario abbia effettivamente conseguito, a titolo di legittima, occorre considerare non solo quanto abbia ottenuto a titolo di eredità, ma, anche, quanto abbia acquistato dal de cuius a titolo liberale. In altri termini, tali attribuzioni debbono essere conteggiate, dopo l’apertura della successione, dal legittimario che intenda verificare di non essere stato leso [4].
L’imputazione ex se, quindi, è un calcolo meramente contabile-fittizio – da compiere unitamente alle operazioni di cui all’art. 556 cod. civ. (la, così detta, riunione fittizia) –, volto a determinare quanto il legittimario abbia realmente conseguito dal de cuius [5].
Nonostante l’art. 564, secondo comma, cod. civ. faccia esclusivo riferimento alle donazioni e ai legati disposti dall’ereditando in favore del riservatario, non vi è dubbio che la disposizione debba essere interpretata estensivamente e, pertanto, si deve concludere che oggetto dell’imputazione debbano essere anche i beni che esso abbia conseguito a titolo di eredità [6]. Quindi, a titolo di esempio, se il testatore, vedovo e padre di due figli, nomina il primo erede dei 4/5 del suo patrimonio e il secondo erede di 1/5, quest’ultimo, qualora desideri agire in giudizio, esperendo l’azione di riduzione, dovrà procedere all’imputazione non solo di eventuali donazioni e legati disposti in suo favore, ma anche di quella parte di asse ereditario (1/5) per la quale è stato nominato erede [7].
L’oggetto dell’imputazione ex se viene determinato dall’art. 564, ultimo comma, cod. civ., il quale dispone che: «Ogni cosa che […] è esente da collazione, è pure esente da imputazione». In altri termini, la determinazione di ciò che debba essere imputato alla quota di legittima si rinviene, indirettamente, nella disciplina dettata in materia di collazione.
Alla luce di tale rinvio, pertanto, essendo oggetto di collazione, si ritengono oggetto di imputazione le donazioni dirette, indirette – in quanto, anche se l’art. 564 cod. civ. non prevede, a differenza dell’art. 737 cod. civ., dettato in tema di collazione, un riferimento espresso anche alle donazioni indirette, è in virtù del generale sopra citato rinvio che può ritenersi coincidente l’area della collazione con l’area dell’imputazione –, donazioni di modico valore, remuneratorie [8], con le esclusioni di cui agli artt. 741 ss. cod. civ. [9].
Nonostante detto rinvio, in ogni caso, differenti sono tra loro gli istituti dell’imputazione ex se e della collazione: il primo, come detto, consiste in una condizione indefettibile ai fini dell’azione di riduzione e si concreta in un calcolo, di natura contabile, volto a determinare quanto realmente abbia conseguito il legittimario; l’obbligazione collatizia, invece, ha la funzione di evitare disparità di trattamento fra i coeredi [10]. In altri termini, secondo la prevalente opinione [11], qualora un soggetto compia una donazione a favore dei propri figli (o discendenti di costoro) o del proprio coniuge (o unito civilmente) sta anticipando loro una porzione della propria eredità, di guisa che, a seguito dell’apertura della successione, quanto donato debba considerarsi quale acconto della quota ereditaria. In tale ottica, pertanto, la collazione persegue il fine di rimuovere la disparità di trattamento che le donazioni potrebbero venire a determinare [12].
Differente, inoltre, al di là della ratio e del fondamento, giuridico e pratico, degli istituti, è, in parte, anche la natura giuridica degli stessi, in quanto l’imputazione ex se è definibile quale onere, al fine di esercitare l’azione di riduzione, mentre, la collazione, come chiaramente disposto dalla lettera di cui all’art. 737 cod. civ., è un vero e proprio obbligo, gravante sui coeredi donatari, indicati da tale norma di legge.
- La dispensa da imputazione ex se e la sua natura giuridica.
L’ultima parte dell’art. 564, secondo comma, cod. civ., riconosce la possibilità di dispensare il legittimario dall’imputazione ex se.
In particolare, quindi, il donante, nella realizzazione dell’intento liberale, così come il testatore, in occasione della redazione del testamento, ha la facoltà di escludere che l’oggetto delle attribuzioni – disposte a mezzo di donazioni e/o disposizioni testamentarie a titolo universale o particolare – sia imputato alla quota di legittima [13].
La funzione tipica della suddetta dispensa, pertanto, è quella di evitare che il riservatario debba imputare alla propria quota di legittima l’oggetto della liberalità compiuta in suo favore, di modo che quella attribuzione debba considerarsi gravante sulla così detta quota disponibile, ossia come realizzata in eccesso rispetto a quanto il legittimario ha diritto di conseguire [14].
Giova rammentare che, ai sensi dell’art. 564, quarto comma, cod. civ., la dispensa non può produrre effetto a danno delle donazioni anteriori, in quanto, se il legittimario potesse agire giudizio, a mezzo dell’azione di riduzione, contro le donazioni precedenti alla propria, si avrebbe, in sostanza, l'effetto di revocare, in tutto o in parte, le precedenti donazioni, pur con decorrenza dall'apertura della successione del donante [15].
Affinché tale dispensa possa dispiegare i propri effetti, a norma dell’art. 564, secondo comma, cod. civ., è necessario che ciò sia espressamente previsto; in altri termini, è necessario che tale intento venga manifestato espressamente, non potendo, tale volontà, essere desunta implicitamente, ossia da fatti concludenti. Al tempo stesso, non occorrono formule sacramentali per la redazione di tale dispensa, in quanto è esclusivamente essenziale che la volontà risulti ed emerga chiaramente dall’atto. Pertanto, è bene osservare che è possibile che la suddetta volontà possa evincersi anche dal contesto in cui trova spazio la disposizione, purché, come detto, sia ravvisabile una chiara ed esplicita volontà in tale direzione [16]. Inoltre, può affermarsi che la dispensa dall’imputazione ex se non possa desumersi ed evincersi dall’eventuale dispensa da collazione, in quanto, come osservato in precedenza, i due istituti poggiano su logiche e fondamenti differenti [17].
Si discute quale sia la natura giuridica della dispensa da imputazione e, rispetto a tale questione, due sono le principali posizioni dottrinali e giurisprudenziali: una parte della dottrina [18], supportata anche da alcune pronunce della Corte di cassazione [19], ritiene che sia una clausola accessoria della donazione, in quanto il donante vorrebbe, con un unico negozio – donazione con dispensa –, attribuire al donatario un diritto, in guisa che a costui rimanga intoccabile definitivamente; invece, secondo la prevalente dottrina [20], seguita da alcune pronunce giurisprudenziali [21], ivi compresa la sentenza oggetto del presente commento, la dispensa da imputazione, così come la dispensa da collazione, è un negozio autonomo, seppur collegato alla donazione.
In particolare, come ben messo in luce dalla presente pronunzia della Corte di cassazione, la dispensa da imputazione ex se, indipendentemente da dove sia contenuta – e quindi, sia nell’ipotesi in cui sia inserita nella donazione, oppure in un atto tra vivi successivo ad essa, sia nel caso in cui sia affidata ad una disposizione testamentaria –, è un atto unilaterale ed unipersonale, definibile quale atto di ultima volontà, in quanto destinato a realizzare i propri effetti solo dopo la morte della persona, e mortis causa, in quanto la morte caratterizza la dispensa sotto il profilo oggettivo-funzionale [22].
Pertanto, vista la sua natura giuridica, la dispensa da imputazione, indipendentemente dalla circostanza che essa sia inserita in un contratto di donazione, in un atto autonomo o in un testamento, è sempre revocabile dal suo autore. Proseguendo in tale direzione, quindi, si può concludere che il defunto che abbia dispensato dall’imputazione il proprio legittimario, contestualmente all’atto di donazione, possa successivamente revocare tale dispensa a mezzo del proprio testamento – senza che si possa sostenere l’inefficacia di questa dispensa, ritenendo che essa, in quanto inserita nel contratto, abbia natura bilaterale e, quindi, revocabile solo di concerto con il donatario [23].
La presente pronunzia, superando precedenti giurisprudenziali difformi, mediante cui, in più occasioni, è stata sostenuta la tesi circa la natura bilaterale della dispensa da imputazione, si colloca in linea con l’opinione prevalentemente sostenuta in dottrina, anche e soprattutto rispetto alla dispensa da collazione.
In conclusione, il principio di diritto espresso dalla Suprema Corte è il seguente: «La disposizione del donante secondo la quale la donazione è eseguita in conto di disponibile con dispensa dall'imputazione, seppure contenuta nella donazione, costituisce negozio di ultima volontà, come tale revocabile dal suo autore. La successiva revoca della dispensa dall'imputazione, così come la dispensa dall'imputazione ex art. 564 co. 2 cod. civ., deve essere espressa e l'attribuzione per testamento della disponibile ad altro erede non comporta annullamento della precedente dispensa dall' imputazione della donazione ai sensi dell'art. 682 cod. civ. nel caso in cui le disposizioni siano di fatto compatibili in quanto il valore della donazione con dispensa dell'imputazione sia inferiore a quello della disponibile»
[1] V., in particolare, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2022, XI ed., p. 207 ss.
[2] Cfr., L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, in Tratt. dir. civ. e comm., già diretto da A. Cicu - F. Messineo, continuato da L. Mengoni, Milano, 2000, p. 255 ss.
[3] In tal senso, v. V. Barba, La successione dei legittimari, Napoli, 2020, p. 316 ss.
[4] Così, G. Capozzi, in Successioni e Donazioni, a cura di A. Ferrucci - C. Ferrentino, Milano, 2023, V. ed., p. 590 ss.
[5] Cfr., G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 208.
[6] Si veda, V. Barba, La successione dei legittimari, cit., p. 316.
[7] In tal senso, v. G. Capozzi, in Successioni e Donazioni, cit., p. 593.
[8] A. Burdese, La divisione ereditaria, in Tratt. dir. civ. it., dir. da G. Vassalli, Torino, 1980 p. 433 ss.; P. Forchielli – F. Angeloni, Della divisione, Art. 713-768, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja e G. Branca, Bologna-Roma, 2000, p. 499 ss.
[9] Pertanto, ai sensi dell’art. 741 cod. civ., deve affermarsi che non è soggetto a imputazione ciò che il defunto ha speso a favore dei suoi discendenti per assegnazioni fatte a causa di matrimonio, per avviarli all’esercizio di una attività produttiva o professionale, per soddisfare premi relativi a contratti di assicurazione sulla vita a loro favore o per pagare i loro debiti. Seguendo il disposto di cui all’art. 742 cod. civ., non sono soggette a imputazione nemmeno le spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, né quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze. Le spese per il corredo nuziale e quelle per l’istruzione artistica o professionale sono soggette a imputazione solo per quanto eccedono notevolmente la misura ordinaria, tenuto conto delle condizioni economiche del defunto. Non sono soggette a imputazione le liberalità previste dal secondo comma dell’articolo 770. Ex art. 243 cod. civ., non è dovuta imputazione di ciò che si è conseguito per effetto di società contratta senza frode tra il defunto e alcuno dei suoi eredi, se le condizioni sono state regolate con atto di data certa. Infine, ai sensi dell’art. 744 cod. civ., non è soggetta a imputazione la cosa perita per causa non imputabile al donatario (rectius, beneficiario).
[10] Rispetto al fondamento della collazione, diverse sono state le tesi sostenute dalla dottrina e dalla giurisprudenza: taluni (tra questi, v., G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, Napoli, 1990, p. 730) hanno ricondotto l’operatività dell’istituto alla presunta volontà del de cuius; altri (tra questi, v. L. Barassi, Le successioni per causa di morte, Milano, 1947, p. 183 ss.) hanno ritenuto che l’istituto fosse finalizzato ad assicurare assoluta uguaglianza tra gli eredi; secondo altra dottrina (F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, vol. III, parte seconda, Milano, 1952, p. 419 ss.) si è ritenuto che ciascun membro della famiglia avrebbe, durante la vita del de cuius, un’eguale aspettativa sul patrimonio di costui; una consolidata dottrina (v., in particolare, A. Cicu, Successioni per causa di morte. Parte generale, in Tratt. dir. civ. e comm., diretto da A. Cicu e F. Messineo, Milano, 1961, p. 513 ss.) ritrova il fondamento e la ratio della collazione nel superiore interesse della famiglia; infine, secondo la prevalente opinione (in luogo di tanti, v. A. Burdese, La divisione ereditaria, cit., p. 272), le donazioni compiute in vita sono anticipazioni di eredità e, pertanto, la collazione persegue il fine di evitare disparità di trattamento.
[11] In tal senso, in dottrina, si vedano A. Burdese, La divisione ereditaria, cit., p. 272; P. Forchielli – F. Angeloni, Della divisione, Art. 713-768, cit., p. 368; M. Cannizzo, Divisione, in Le successioni, a cura di P. Cendon, Torino, 1999, p. 162 ss. In giurisprudenza, v. Cass., 27 gennaio 1995, n. 989, in Riv. notariato, 1996, p. 876.
[12] Relativamente alle imputazioni delle attribuzioni realizzate a mezzo del patto di famiglia, di cui agli artt. 768-bis, ss. cod. civ., si vedano F. Magliulo, L’apertura della successione: imputazione, collazione e riduzione, in Quaderni della fondazione Italiana per il notariato. Il Sole 24 Ore. Milano-Roma, 2006, p. 291 ss.; G. Petrelli, La nuova disciplina del “patto di famiglia”, in Riv. not., 2006, p. 451 ss.; G. Bonilini, Il patto di famiglia, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, vol. III, La successione legittima, a cura di G. Bonilini, Milano, 2009, p. 634 ss.
[13] Cfr., A. Tullio, L’azione di riduzione. L’imputazione ex se, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, dir. da G. Bonilini, vol. III, La successione legittima, Milano, 2009, p. 557 ss.
[14] Così, V. Barba, La successione dei legittimari, cit., p. 318.
[15] Così, G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 209.
[16] A titolo di esempio, L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, cit., p. 259 ravvisa una valida manifestazione di volontà di dispensare nell’ipotesi in cui il testatore, dopo aver onorato il legittimario a mezzo di un legato, lo istituisca erede nella quota di legittima.
[17] In tal senso, v. G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 209.
[18] G. Azzariti, Le successioni e le donazioni, cit., p. 764; F. Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, cit., p. 423.
[19] Si vedano, in particolare, Cass., 1 ottobre 2003, n. 14590, in Riv. not., 2004, p. 1037 ss.; Cass. 7 maggio 1984, n. 2752, in Giust. civ. Mass., 1984, fasc. 5.
[20] L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, p. 709; A. Burdese, La divisione ereditaria, cit., p. 311; P. Forchielli – F. Angeloni, Della divisione, Art. 713-768, cit., p. 516 ss.
[21] V., Cass., 29 ottobre 2015, n. 22097, in Giust. civ. Mass., 2015.
[22] In questo medesimo senso si è espresso, relativamente alla dispensa da collazione, V. Barba, La dispensa da collazione (Studio n. 78/2023-C), in Studi e materiali, Rivista semestrale del CNN, 2023, p. 17 ss.
[23] Cfr., V. Barba, La successione dei legittimari, cit., p. 321.
Francesco M. Moglia