La donazione con clausola sospensiva di premorienza del donante produce effetti immediati e concerne singoli beni valutati dai contraenti nella loro consistenza ed oggettività al momento del perfezionamento, con conseguente attualità dell'attribuzione la cui efficacia è solo differita alla morte; pertanto, la violazione del divieto dei patti successori può derivare solo dalla persistenza di un residuo potere dispositivo del donante, tale da minare l'irrevocabilità della disposizione e la sua immediata efficacia vincolante, e non dalla maggior o minore probabilità del verificarsi dell'evento condizionante.
Ai sensi dell’art. 458 cod. civ., fatto salvo quanto disposto dagli art. 768-bis e seguenti, è nulla ogni convenzione con cui taluno dispone della propria successione. È del pari nullo ogni atto col quale taluno dispone dei diritti che gli possono spettare su una successione non ancora aperta, o rinunzia ai medesimi. La disposizione in esame sancisce il generale divieto dei patti successori e, al tempo stesso, codifica tre singole tipologie di patti vietati: i, così detti, patti istitutivi, i patti dispositivi e, infine, i patti rinunziativi [1].
I patti istitutivi sono contratti successori, stipulati da un soggetto (ovverosia, il futuro de cuius) e i suoi futuri successori, mediante cui il primo dispone dei propri beni, a titolo di eredità o di legato [2], per il tempo in cui avrà cessato di vivere. I patti dispositivi sono contratti mediante i quali un soggetto dispone non della propria successione, ma dei diritti che prevede di acquistare succedendo, mortis causa, ad un altro soggetto. Infine, i patti rinunziativi sono contratti, o atti unilaterali, aventi il medesimo oggetto dei patti dispositivi, ma volti a realizzare un effetto esclusivamente abdicativo.
L’individuazione della giustificazione, alla base del divieto di cui all’art. 458 cod. civ., è un primo passaggio fondamentale per la comprensione della disciplina dei patti successori. La ratio di tale norma è correlata, secondo la dottrina prevalente [3], alla necessità di salvaguardare e preservare, in primis rispetto ai patti successori istitutivi, la libertà di disporre della propria successione mediante il negozio testamentario e il potere di revoca delle disposizioni in esso contenute. In altri termini, la finalità perseguita dal legislatore è quella di assicurare alla persona la facoltà di disporre liberamente dei propri beni fino all’ultimo istante della propria vita [4]. La validità dei contratti testamentari, secondo autorevole dottrina, infatti, «porterebbe al risultato di consentire una disposizione di diritti successori giuridicamente impegnativa per l’ereditando. In tal modo il successibile acquisterebbe un diritto all’eredità, mentre […] nessun diritto e nessuna aspettativa derivano dal testamento anteriormente all’apertura della successione» [5]. Inoltre, il fondamento del divieto di tali patti è rintracciato anche nell’inammissibilità di una terza causa di delazione, accanto a quella legale e testamentaria: l’art. 457 cod. civ. statuisce che l’eredità si devolve solo per legge o testamento, vietando, secondo tale dottrina, la delazione contrattuale. Le ragioni fin qui enunciate, giustificative del divieto dei patti successori istitutivi, secondo buona parte della dottrina, non possono essere tout court estese anche ai patti dispositivi e rinunciativi: in tali ipotesi, infatti, non è ravvisabile una limitazione dell’autonomia testamentaria. Pertanto, la ragione del divieto, in questo caso, è data dalla necessità di tutela del disponente che, in vista del conseguimento di un vantaggio patrimoniale immediato, potrebbe essere indotto a spogliarsi di un diritto futuro e, inoltre, di impedire il desiderio della morte del de cuius (ossia il, così detto, votum captandae mortis).
Tra i negozi posti in essere per le disparate finalità che i consociati cercano di perseguire, mediante istituti alternativi al testamento, può assumere rilievo pratico la donazione a causa di morte. Quest’ultima, peraltro, definita anche “donatio mortis causa”, deve essere distinta da altre figure negoziali, ossia dalla “donatio cum moriam”, dalla “donatio si moriam” e, infine, dalla “donatio si praemoriam” [6].
La donazione a causa di morte deriva dal diritto romano arcaico, il quale contemplava una donazione revocabile, subordinata alla premorienza del donante rispetto al donatario in caso di pericolo di morte. Una simile figura non può ammettersi nell’ordinamento giuridico italiano, in quanto essa configurerebbe un patto successorio istitutivo gratuito e, conseguentemente, nullo, ai sensi dell’art. 458 cod. civ. Detta affermazione viene sostenuta con vigore dalla prevalente dottrina e giurisprudenza, poiché, in tal caso, la donazione sarebbe destinata a spiegare i propri effetti solo a seguito della morte del donante, conseguendo i medesimi effetti tipici del testamento, ma, al tempo stesso, privando il donante della facoltà di revocare il suddetto atto, così violando il principio di assoluta libertà della volontà testamentaria. Anche laddove si delineasse una donatio mortis causa secondo lo schema romanistico, il risultato non cambierebbe, a causa «dell’incompatibilità tra la necessaria revocabilità ad nutum ed i principi contrattuali – che pure reggono la donazione, la cui revocabilità è oggetto di una disciplina specifica e per certi versi eccezionale (artt. 800 ss. cod. civ.) – ovvero in ragione del fatto che la facoltà di revoca finirebbe per integrare una condizione sospensiva meramente potestativa ex art. 1355 cod. civ.» [7].
In ordine alle altre tre fattispecie sopra menzionate, ovverosia alla donazione con termine iniziale dalla morte del donante (donatio cum moriam), alla donazione sottoposta alla condizione sospensiva della morte del donante (donatio si moriam) e, infine, alla donazione sottoposta alla condizione sospensiva della premorienza del donante al donatario (donatio si praemoriam), vi sono alcuni dubbi di validità. L’esistenza di tali perplessità, a differenza delle condivise opinioni relative all’invalidità della donatio mortis causa, sia in dottrina che in giurisprudenza, dipende dal fatto che la morte del donante, rispetto alle ultime fattispecie riportate, integra semplicemente un termine iniziale o una condizione sospensiva di efficacia del trasferimento di quanto donato. La Corte di cassazione, mediante due pronunce [8] e seguendo una minoritaria opinione dottrinale, seppur autorevole [9], ha statuito l’invalidità di tali figure, in virtù del divieto di cui all’art. 458 cod. civ.: in altri termini, i giudici di legittimità hanno ritenuto che tali negozi integrassero patti successori vietati e, dunque, nulli. Sembra, tuttavia, preferibile la teoria - confermata dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione [10], anche a mezzo della presente pronunzia - secondo cui tali figure costituiscano donazioni tra vivi, delle quali hanno il tipico carattere dell’attualità dello spoglio. In particolare, infatti, nelle donazioni qui considerate, il donatario acquista un’aspettativa legalmente tutelata, che gli consente di compiere atti conservativi e di disporre, sempre nel rispetto della medesima condizione, del diritto oggetto della donazione, secondo il disposto dell’art. 1357 cod. civ.
La Corte di cassazione, a mezzo della presente pronunzia, ha avuto modo di osservare - in linea con la prevalente opinione diffusa in dottrina e in giurisprudenziale - che ai fini della sussistenza di un patto successorio è necessario che ricorrano alcuni elementi: 1) in primo luogo, il vincolo giuridico deve avere la specifica finalità di costituire, modificare, trasmettere o estinguere diritti relativi ad una successione non ancora aperta; 2) la cosa o i diritti oggetto della convenzione devono essere considerati dai contraenti come entità della futura successione; 3) l’ereditando deve disporre, in tutto o in parte, della propria massa successoria, privandosi, così dello ius poenitendi; 4) infine, il programmato trasferimento, dal disponente al promissario, deve avvenire mortis causa, ossia a titolo di eredità o di legato. Questi sono i presupposti indefettibili al ricorrere dei quali può ritenersi sussistente un patto successorio vietato.
Pertanto, alla luce di quanto detto, e in considerazione della ratio del divieto di cui all’art. 458 cod. civ., sono sottratti all'ambito applicativo di tale norma i negozi in cui l'evento morte non è causa dell'attribuzione, ma viene a incidere esclusivamente sull'efficacia dell'atto, il cui scopo non è di regolare la futura successione. Come osserva la Suprema corte nella sentenza qui commentata, infatti, «la donazione con clausola sospensiva di premorienza del donante produce effetti preliminari immediati in vita del donante ed investe un singolo bene inteso come entità separata dal resto del patrimonio, sempre che permangano l'irrevocabilità della disposizione e l'immediata costituzione del vincolo giuridico tra le parti, con conseguente attualità dell'attribuzione, la cui efficacia è solo differita alla morte, avendo il donatario facoltà di compiere atti conservativi e finanche di disporre del bene (sotto condizione). Il bene donato viene valutato dai contraenti non quale entità che residua al momento della morte, ma nella sua consistenza ed oggettività al momento del perfezionamento del negozio».
In definitiva, i giudici di legittimità, a mezzo della presente pronunzia, hanno ritenuto valida la donatio si praemoriam (ossia la donazione condizionata alla premorienza del donante al donatario), in quanto donazione inter vivos, produttiva di effetti giuridici immediati, la cui sola efficacia è posticipata, differita e condizionata al verificarsi dell’evento morte della parte donante (in precedenza rispetto alla parta donataria). In ogni caso, di fronte all’esistenza di opinioni diverse, accolte anche in varie pronunce dai giudici di legittimità, per stabilire se tali donazioni siano valide o meno, occorre procedere ad una valutazione caso per caso circa l’effettiva volontà delle parti e, dunque, la causa concreta del contratto: qualora il donante abbia voluto «stipulare una donazione che integri una attribuzione a causa di morte, allora la donazione è nulla, perché integra un patto successorio istitutivo; qualora le parti abbiano voluto stipulare una donazione semplicemente con effetti sottoposti a termine o a condizione, non vi sarebbe ragione per affermarne la nullità» [11].
[1] Nonostante l’art. 458 cod. civ. individui tre singole figure rientranti nel concetto di patto successorio, sono svariate ed eterogenee le concrete fattispecie che sono colpite dalla nullità comminata dal presente articolo. A ben vedere, però, l’eterogeneità è prima di tutto linguistica e terminologica, in quanto la rubrica della dell’articolo in esame impiega il termine di «patti successori», ma la disposizione si avvale anche di espressioni differenti per riferirsi al medesimo oggetto: in particolare, leggendo l’articolo ci si avvede del fatto che il legislatore abbia utilizzato diversi termini e si riferisca a «ogni convenzione» e «ogni atto». Nonostante, quindi, un impiego eterogeneo di espressioni, nel linguaggio della dottrina e della giurisprudenza è prevalente il riferimento tout court ai patti successori. In tal senso, v. L. Balestra, M. Martino, Il divieto dei patti successori, in Tratt. dir. delle successioni e donazioni, a cura di G. Bonilini, vol. I, La successione testamentaria, Milano, 2009, p. 72.
[2] Il divieto del patto successorio istitutivo non solo concerne la qualità di erede, ma anche quella di legatario. In particolare, come afferma G. Giampiccolo, voce Atto mortis causa, in Enc. dir., vol. IV, Milano, 1959, p. 233 ss., quando il patto ha ad oggetto non l’intera eredità del disponente (o una quota ideale di essa), ma uno o più beni determinati del suo patrimonio, esso, nella sostanza, cerca di sortire gli effetti di un legato.
[3] C. M. Bianca, Diritto civile, vol. II, La famiglia e le successioni, Milano, 1989, p. 404; L. Ferri, Successioni in generale, Artt. 456-511, in Comm. cod. civ., a cura di A. Scialoja, G. Branca, Bologna-Roma, 1997, III ed., p. 95; L. Balestra, M. Martino, Il divieto dei patti successori, p. 65; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, Torino, 2022, XI ed., p. 33 ss.
[4] Tale ricostruzione tradizionale, però, è stata anche oggetto di critica, in quanto è stato da più parti sostenuto che, qualora il fine perseguito dall’art. 458 cod. civ. fosse esclusivamente quello di preservare la libertà di disposizione, e, conseguentemente, di revoca, il legislatore avrebbe potuto contemplare, a favore del disponente, un potere di recesso, con una discrezionalità non dissimile da quanto ha fatto sancendo l’assoluta e irrinunziabile revocabilità del testamento. In tal senso, v. F. Magliulo, Il divieto de l patto successorio istitutivo nella pratica negoziale, in Riv. notariato, 1992, VI, p. 1411 ss.; C. Caccavale, Il divieto dei patti successori, in Successioni e donazioni, a cura di P. Rescigno, vol. I, Padova, 1994, p. 25 ss.; A. Zoppini, Le successioni in diritto comparato, in Tratt. dir. comp., dir. da R. Sacco, Torino, 2002, p. 170 ss.
[5] Così, C. M. Bianca, Diritto civile, cit., p. 404. In senso conforme, in giurisprudenza, v. Cass., 24 aprile 1987, n. 4053, in Riv. notariato, 1987, p. 582.
[6] In tal senso, v. A. Palazzo, Testamento e istituti alternativi, in Trattato teorico-pratico di diritto privato. Grandi questioni e pareri, dir. da G. Alpa, S. Patti, a cura di G. Palazzolo, Milano, 2008 p. 267 ss.; L. Balestra, M. Martino, Il divieto dei patti successori, cit., p. 112; G. Capozzi, Successioni e Donazioni, a cura di A. Ferrucci, C. Ferrentino, Milano, 2023, V ed., p. 53 ss.; G. Bonilini, Manuale di diritto ereditario e delle donazioni, cit., p. 33 ss.; E. Rossi, Patti successori: necessità o impedimento?, Milano, 2018, p. 157 ss.; A. Busani, La successione mortis causa, Milano, 2020, p.101 ss.
[7] L. Balestra, M. Martino, Il divieto dei patti successori, cit., p. 113 ss. Rispetto alla qualificazione della donatio mortis causa come patto successorio, si è espressa anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (v. Corte Giust. Ue, sez. I, 9 settembre 2021, n. 277, in Riv. notariato 2021, V, p. 100), affermando che: «pertanto, un contratto - quale la donazione in parola - in forza del quale una persona prevede il trasferimento futuro, alla sua morte, della proprietà di un proprio ben e immobile e che conferisce, quindi, diritti sulla futura successione ad altre parti di detto contratto costituisce un «patto successorio», ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 1, lettera b), del regolamento Successioni».
[8] Cass., 6 marzo 1950, n. 576; Cass., 24 aprile 1987, n. 4053, in Riv. notariato, 1987, p. 582.
[9] L. Cariota Ferrara, Le successioni per causa di morte. Parte generale, Napoli, 1977, p. 399; C. M. Bianca, Diritto civile, cit., p. 407 ss.
[10] Si veda, in luogo di tante, Cass., 9 luglio 1976, n. 2619, in Mass. Foro it., 1976, p. 549
[11] In questi termini, v. A. Busani, La successione mortis causa, cit., p. 102.
Francesco Maria Moglia